tempi morti

Vi siete mai soffermati a pensare a tutti i tempi morti della vostra vita? È molto semplice capire il concetto se si pensa ad un libro o un film.

Prendiamo ad esempio un film, che forse non tutti leggono (sto dando per scontato che coloro che non leggono – per i quali sto appunto scegliendo l’esempio del film – stiano leggendo queste righe. La speranza, ah! che sapore dolce), un film a caso, non ha importanza.

La storia raccontata dal regista è sostanzialmente una sintesi. Le scene altro non fanno che rappresentare i momenti chiave della vita dei protagonisti affinché la trama mantenga un filo logico di senso compiuto. Sembra scontato eppure ci viene così facile paragonare la nostra vita a quelle inventate dai registi, con ovviamente poco appaganti risultati. Il problema è che questa entusiasmante e ricca sintesi che ci viene presentata taglia letteralmente via tutti i momenti di noia, quelli non necessari o imprevisti per tenere alta e affamata l’attenzione del pubblico. E in noi che siamo il pubblico scatta subito il desiderio di una vita come quella sullo schermo e uno strano senso di vergogna ci accompagna per qualche tempo. Pensate un po’, in alcuni film lo dicono chiaro e tondo: ad un certo punto compaiono le scritte

dieci anni dopo

e con un grande balzo nel tempo la storia interrotta dieci anni prima riprende come se nulla fosse cambiato. Gli innamorati si ritrovano dopo dieci anni di lontananza ed esplodono in uno strappalacrime abbraccio, i nemici giurati che per dieci anni si sono dimenticati gli uni degli altri s’intravedono in una piazza affollata e inizia l’inseguimento folle… Qua di folle c’è solo l’idea che davvero dieci anni possano non fare la differenza. Io dico, ci sta che è un film e quindi ci si può permettere di uscire un po’ dagli schemi, ma far finta che il tempo non cambi le cose, fratello, qui mi sei cascato.

Dieci anni. Quante cose sono successe in dieci anni che non sono state raccontate? Quante pagine nei libri bisognerebbe aggiungere per raccontare quel tempo che è stato privato del suo diritto di cambiare il corso degli eventi? Quattro o quattrocento? Quante cose possono succedere in dieci anni?

Non è difficile come domanda, bisogna solo capire la direzione corretta per comprenderla: per farlo bisogna andare indietro. Pensate a com’eravate dieci anni fa. Pensate a tutti i sogni e le ambizioni che avevate, pensate a tutti quei piccoli difetti che vi trovavate e che eravate convinti avreste cambiato di lì a dieci anni. Pensate alle amicizie perse e quelle invece nuove. Pensate a quante volte vi siete innamorati, pensate a tutti i progetti che avete iniziato, quei pochi conclusi e quelli ancora in cantiere. Pensate a come dieci anni fa vi vedevate dopo dieci anni. Inquietante, converrete con me. Il punto è questo: in dieci anni si cambia, tutti cambiano in dieci anni.

E allora questi anni, che solo a titolo d’esempio sono dieci, davvero possono essere banalizzati nelle tre parole “dieci anni dopo”? No dico, scrittori, davvero assumete che le vite dei vostri personaggi non possano cambiare radicalmente in questo lasso di tempo o, di proposito, per dieci anni nelle loro vite non accade nulla di significativo ma poi, ad un certo punto non si sa come, ecco che vale la pena riprendere la narrazione? Hard to believe. Che poi noi poveri e comuni mortali come mai faremo a reggere il confronto con gli eroi dei film e dei romanzi quando nelle loro vite tutto ciò che è noioso, ininfluente, fine a se stesso, insomma il classico “tempo morto”, viene semplicemente eliminato?

Esiste un mondo parallelo in cui vivono tutti i tempi morti dei protagonisti di novelle, racconti popolari, romanzi, film, documentari. Immaginatevi tutti i ritagli di tempo inutili ai fini narrativi che si trovano per le vie di questa ipotetica città. C’è, supponiamo, la fila alle poste, la fila al supermercato, le file in generale. Tanti bei momenti tutti più o meno simili che sono le code. Sul podio metterei le code in auto, le code al bagno (in particolare per le donne) e le code virtuali quando chiami qualche ufficio pubblico e una voce registrata ti mette in attesa. Ecco, poi tutte le altre: le code al tabacchino, dal benzinaio, al ricevimento genitori a scuola, a un esame orale e hai mezza facoltà davanti, le code per i camerini nei negozi e quelle alla cassa. Poi ci sono dei momenti morti più piccoli, che si aggirano per la città silenziosi e discreti e tra questi rientrano i cinque minuti di anticipo ad un appuntamento perché non hai trovato traffico, i cinque minuti di anticipo alla fermata dell’autobus per sicurezza, i cinque minuti in cui la persona con cui sei (capo, collega, amico, amante) è al telefono e tutti quei pochi minuti in cui noi semplicemente aspettiamo senza neanche prenderci la briga di trovare qualcosa con cui intrattenerci. Tanti insignificanti momentini come questi. Troneggiano però nella città i signori Momenti Morti, coloro che quando camminano fanno tremare la terra tanto sono invadenti! Essi sono rappresentati da quei lunghi periodi che inevitabilmente seguono domande quali “ma che cosa ho fatto fin ora?” oppure “ma come ho fatto a ritrovarmi qua?” domande che mettono in crisi tutte le scelte prese fino a quel momento e ricoprono con una spalmata di dubbi e forti perplessità il nostro passato al punto da rendere quasi insignificante il presente. Questi sono i momenti morti più pericolosi, tra l’altro! Ne esistono altri ancora di momenti morti, per esempio, quelli che precedono una scelta, chessò, quale università fare: “mi prendo un anno per decidere come procedere con gli studi, nel frattempo mi trovo un lavoro”. Ecco qui un anno che volendo potete tagliare.

In questa città si ritrovano tutti i momenti noiosi, i tempi morti, le attese della vita dei personaggi inventati. Purtroppo o per fortuna però, noi siamo reali. E tutti questi momenti morti ce li portiamo addosso come una maglietta sgualcita o un paio di calzini spaiati.

I più furbi tra noi hanno sempre un libro con loro, quelli ancora più furbi hanno buon libro. Quelli tonti di noi non hanno niente e li riconosci dallo spasmodico dito che scrolla compulsivo qualche social sul telefono. In base a come impegni l’inevitabile attesa il tempo può essere – permettetemi di dirlo – più o meno morto. Nel senso che okay, è un fuori programma di cui si poteva fare a meno, ma tutto sommato può non essere tempo sprecato, anzi, con un po’ d’impegno può cambiare la fine della nostra storia…

Pensate a tutti i vostri momenti morti: mettendoli insieme, uno di fila all’altro, riuscireste a coprire un arco temporale di dieci anni? La risposta è una sola: neanche per sogno! E allora forse, a tutti questi attimi persi, questi minuti orfani dei loro libri, giorni placidi strappati con ferocia dalle pellicole, forse a loro bisognerebbe dedicare un po’ di spazio.

Tu cosa fai nei tuoi tempi morti?

Io scrivo.

Cosa?

Questo.

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