aria

Il telefono s’illumina nel buio della stanza e inizia a suonare. Per quanto abbia scelto una melodia delicata e discreta le note entrano a gamba tesa nei miei sogni e il regista del mio sonno fischia fallo. Perché è sabato e la sveglia suona un’ora prima di ieri? L’arbitro corre a bordo campo ma il VAR non lascia spazio a dubbi: bisogna alzarsi. Si volta verso i giocatori e alza le mani come a dire “mi spiace, i giochi sono finiti!”. Sposto le coperte, poggio i piedi per terra e dondolo cieca verso il bagno.

L’acqua fredda e il caffe caldo tirano dalla stessa parte e mi trascinano nel mondo dei vivi. Mi vesto, recupero il pranzo e lo zaino, le chiavi della macchina, mi metto le scarpe e prendo gli scarponi. Ultima pipì, la zip della giacca sale fino al mento, apro la porta e afferro il guinzaglio sperando vivamente che dall’altro lato ci sia attaccato il cane.

La strada spoglia ci accoglie senza feste, non c’è poesia in questo deserto. Accelero dove posso, taglio le rotonde, mi fermo al rosso. Una macchina rallenta dietro di me, l’uomo al volante guarda il cellulare, scatta il verde e riparto in fretta: la strada è sola e con lei sola condivido la solitudine. Compare alla mia destra il sole, timido e irruento sulla linea dell’orizzonte, di fronte le sagome delle cime. Il cane si affaccia tra i due sedili e si cala nel ruolo di copilota. Siamo un tangram che compare e scompare tra i raggi luminosi e le ombre allungate degli alberi mentre scivoliamo leggeri sulle curve morbide. Prendiamo quota tornante dopo tornante, ci avviciniamo al cielo entrando nel cuore della terra. Abbandoniamo l’asfalto per una mulattiera dissestata, il cane mugola, sa che manca poco. Parcheggio e per prima cosa lo faccio scendere. Infilo e stringo gli scarponi, allaccio le fibbie dello zaino, regolo la presa del suo abbraccio e intanto trovo l’imbocco del sentiero con gli occhi.

Iniziamo la salita, il cane correndo io chiedendomi se ho tutto, massì, penso, cosa mai mi servirà. Allungo il passo e il fiato si accorcia, sbircio dal basso il cielo incastrato tra i rami degli alberi mentre lui ispeziona minuzioso la terra. Non una nuvola di passaggio, non una foglia secca scappa al nostro radar. Il rumore dei passi scandisce il tempo, la mente si espande e si rilassa, i pensieri riempiono lo spazio e svolazzano intorno a me. Inevitabilmente li sento e li vedo: pensieri stanchi, annoiati, testardi, viziati, legati ad un cervello atrofizzato di cui ho perso lo scontrino. Punto lo sguardo per terra e cerco in tutti i modi di ignorarli. Un piede avanti l’altro, radice, sasso, aghi di pino, sasso, sasso, ciuffo d’erba, ramo spezzato, radice, roccia con muschio. Imparo dal mio insegnante e cammino senza pensare, seguendo i profumi col naso e i rumori con gli occhi.

Il cuore accelera, le ginocchia scricchiolano, la schiena s’incurva. Arrivo fin là e poi prendo fiato, penso. Appoggio lo zaino per prendere l’acqua e il cane infila il muso dentro sperando di trovarci qualcosa di buono. Sento solo il mio respiro, il fruscio della brezza tra le chiome, qualche uccello si schiarisce la gola. Per il resto nulla. Una quiete solenne tra pilastri di una cattedrale in costante evoluzione. Solo se ti siedi sulle sue panche di roccia e ti dimentichi del tempo puoi vederla. Solo se ti dimentichi delle promesse fatte e ricevute capisci la sua magia. Se ti abbandoni senza paura di sapere dove ti ritroverai, se investi tutte le energie senza preoccuparti del ritorno o della prossima andata, se getti dalla scialuppa della mente tutto ciò che è rattrappito, forse puoi comprendere il dono della libertà.

Arrivi nella pace senza che nessuno se ne accorga. Oggi è un cucuzzolo, domani un ricovero o forse il giardino dell’Eden, lo scopri quando lo vedi. Arrivi nuda senza passato e senza futuro, senza omaggi e senza pretese. Arrivi come arrivano la pioggia e il vento, arrivi perché puoi. Dal mondo dei sogni al mondo sanguisuga al qui ed ora, senza altri umani intorno, senza garanzie né linea sul telefono, per la prima volta immersa nella vita. Due aquile navigano nel cielo, i pendii dolci guidano lo sguardo, le rocce stuzzicano l’ingegno. Dall’alto il sole si china a baciare la terra, l’acqua parte trotterellando per il mare e la pietra paziente racconta all’erba storie antiche. Il cuore rallenta, i muscoli trovano ristoro, i pensieri tacciono. Casa è dove la Bellezza vince sulla Morte.

 

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