Ultimamente il cielo era terso.
Nei giorni trascorsi la nebbia aveva paralizzato la vita, sbiadito gli oggetti e ovattato i rumori vestendo la città di un’atmosfera spettrale.
Era calata di notte come cala spietato il lenzuolo bianco sul corpo freddo di un morto e per giorni aveva trasformato tutti i colori in un colore, tutti i profumi in un profumo, tutti i suoni in un suono. Vittime di uno stato di sonnolenza indotta i passanti camminavano incerti nel grigiore anonimo di una condizione atmosferica che sembrava piuttosto una condanna.
Dopo interminabili giorni in cui anche il tempo aveva rallentato impigrito dall’assenza di stimoli, la nebbia si dissolse e nel giro di una notte venne restituita al mondo la sua identità.
Il cielo si mostrava finalmente in tutto il suo splendore mentre abbracciava la terra da parte a parte. L’aria aveva perso l’umidità dei giorni precedenti e fresca e frizzantina guizzava allegra nelle narici pizzicando la pelle. Lo sguardo sciolto poteva correre libero assaporando dettagli a distanze impressionanti. La vita era tornata, silenziosa e discreta, come se non se ne fosse mai andata.
Quella mattina una donna si era svegliata presto, o forse non si era mai addormentata, e camminava da sola sfidando la notte. Erano le ultime ore di buio ma già si poteva intuire che la giornata sarebbe stata perfetta. A mano a mano che attraversava lo spazio e il tempo sollevava gli occhi al cielo in attesa di ammirare uno degli spettacoli più belli e sottovalutati che si potranno mai contemplare sulla faccia della terra.
La luna scivolava da un lato ed il sole spingeva dall’altro. Sul fronte Est il buio iniziava a sbiadire sotto la pressione insistente della luce. Mentre i primi barlumi facevano capolino nel teatro del cielo ancora molte stelle brillavano indisturbate. Con sforzi lancinanti i raggi tiepidi s’innalzavano dall’orizzonte e facevano breccia nella dura scorza delle tenebre.
Il confine tra il buio e la luce era netto, marcato, il pittore dei cieli aveva accidentalmente rovesciato troppo blu di Prussia a Ovest e ad Est un tenue giallo pastello arrancava nella lotta per emergere dalla melma opprimente.
La luce spingeva, s’insinuava, tagliava, soffiava e ringhiava mentre consumava l’ultima goccia di energia per spezzare la fredda notte autunnale.
Come i germogli in primavera lottano contro il freddo e l’affermata mancanza di vita dei mesi invernali, così i raggi chiari devono vincere sul cielo nero per sbocciare e colorare la terra.
Il cielo si trasforma lentamente in un campo di battaglia dove sciabole di luci ed ombre s’intrecciano sopra la testa contendendosi il dominio della terra.
È uno scontro tra titani, uno spettacolo a cui forse non meritiamo di assistere, noi, piccole creature legate al gioco della vita e della morte, che di fronte all’infinito nulla possiamo. Ci è concesso guardare dal basso, con gli occhi ed il cuore tesi verso l’alto e sperare un giorno di poter essere parte di tutta quella bellezza.
Dopo essersi aperti un varco abbastanza ampio i raggi del sole presero velocità ed irruppero nello spazio aperto galoppando spavaldi, tagliarono le ultime quattro nuvole scure che tardavano ad andarsene e diffondevano più in là che potevano. Era iniziata l’ascesa del sole, sarebbe stata una questione di pochi minuti e poi la luce avrebbe finalmente regnato sovrana.
Dalla parte opposta la luna calava con classe. Tonda e piena tirava a sé le nere coperte per continuare a brillare, per non cadere preda dell’ondata di luce che l’avrebbe irrimediabilmente nascosta. Non sembrava infastidita dall’arroganza del suo compagno che in malo modo la spingeva via per farsi largo. Si allontanava con dignità e mite e silenziosa rivelava tutt’altro carattere rispetto al sole. Nel silenzio della notte la luna non parla, non giudica, si limita a cullare chi dorme, a sostenere gli ubriachi e ascoltare i lupi ululare. Solo ogni tanto si veste a festa e la si vede brillare in cielo di un rosso intenso, come le braci ardenti in un camino.
Calma e placida andava adagiandosi sull’orizzonte opposto, perché in fondo sapeva che il suo turno sarebbe tornato. Alla fine del giorno avrebbe rimesso a nanna mezzo mondo, sarebbe sorta di nuovo e con le sue attenzioni materne avrebbe convinto anche il sole ad andarsene a letto.
La notte è della luna e il giorno appartiene al sole, ma è quando il cielo ospita entrambi e i due opposti s’incontrano e scontrano che si creano gli scenari migliori.
Forse a qualcuno potrà sembrare noioso, a qualcuno il cui pensiero è incatenato alla routine contemporanea, alle scadenze, agli obiettivi, alle punizioni. Eppure è gratis svegliarsi all’alba per vedere il cielo tingersi di mille sfumature. È bel lontano dall’ essere noioso, alzate gli occhi.
Ogni giorno è diverso da quello prima: a volte il sole è brutale, tinge le nuvole dei suoi chiari bagliori e le scaglia con ferocia contro la coperta scura delle tenebre. Altre volte invece è stanco e la luna deve trascinarlo fuori di peso per convincerlo a prendere il suo posto.
Da una parte all’altra del cielo comunicano come bravi vicini, a volte litigano, ma in fondo sanno di aver bisogno l’uno dell’altra.
Quella mattina si amavano, si cercavano, la loro naturale distanza sembrava straziarli.
La luna non voleva calare ed il sole sorgeva più in fretta che poteva. Saette abbaglianti fendevano il manto nero della notte, il quale si apriva e richiudeva in un abbraccio per accogliere quel calore devoto prova d’amore del suo compagno.
Una timida sfumatura rosa incorniciava la volta celeste, correva come un’onda sul lontano confine tra cielo e terra laggiù, dove dalle sponde del fiume si vedevano spiccare maestose le vette innevate delle montagne.
Più in alto esplodevano i colori. Fuori dalla portata dell’uomo, da ogni tipo di artistica immaginazione, più in alto ancora di dove volano i sogni, proprio là, luna e sole si fondevano in un’unica poesia. Invadevano il cielo incuranti di tutto e non c’era spazio per altri se non per loro.
Solo una donna sulla terra e nell’infinito un’opera maestosa, eterna come i versi dei poeti maledetti, pura come l’amore che si prova per la prima volta. Il cielo divenne il palcoscenico dove recitavano inconsapevoli attori senza copione. L’arte dell’improvvisazione faceva esplodere la bellezza genuina dell’imprescindibile necessità di qualcuno da cercare, di un amico a cui tendere la mano, a cui porgere l’ultimo saluto, per l’ennesima volta.
2 Responses
Ah! Romantica e poetica per giunta!!
Preferisci l’alba o il tramonto?
mi piacciono entrambi 🙂